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Morale e retorica nel Seicento italiano
Chi sono gli “antichi” e chi sono i “moderni” nella cultura del Seicento? L’ultimo cinquantennio di studi sul Barocco e sulla letteratura del secolo XVII ha visto definitivamente tramontare la nozione di una stagione di crisi: e anzi le molteplici facce della civiltà seicentesca, le infinite antitesi che la compongono, confermano l’opportunità di una tassonomia delle figure letterarie alle origini dell’età moderna, allorquando si fissano alcuni caratteri destinati a permanere nella lunga durata. La cultura del Barocco non rinnega le proprie radici, non apre un conflitto con i suoi “antichi”, ma mira ad assorbirli criticamente. Gli scrittori seicenteschi salgono davvero sulle spalle dei propri antichi giganti, e riescono, con efficacia innovativa, a prospettare orizzonti più vasti. Le intersezioni tra forme ereditate dal passato e una insistente attitudine a sperimentare nuove forme producono, nell’arco del secolo, una dialettica di valori che si è trasmessa lungo il corso della modernità. A questo livello si determina un incontro tra etica e retorica.
Sotto l’angolo visuale degli studi letterari, l’”arte dello scrittore”, innervata da una forte riflessione morale, sembra disporsi come una costante significativa: la prosa di Paolo Sarpi o del suo biografo Fulgenzio Micanzio, la satira politica di Traiano Boccalini, le strategie retoriche sedimentate nella enciclopedica produzione letteraria di Guido Casoni, rivelano, in forme più o meno esplicite, una complessa attitudine conoscitiva, peculiare di un tempo storico che non finisce di sorprendere.